Tramas è un'organizzazione indipendente che ha due obiettivi:
1) mettere in rete giovani sardi, studenti, ricercatori e
professionisti, operanti nelle città e nei paesi della Sardegna, in continente e all'estero;
2) mettere in cantiere iniziative di analisi e azione per lo sviluppo
della Sardegna.


domenica 12 giugno 2011

L’indipendenza che non fa paura.

... Se chiedete ai cittadini sardi: "Siete favorevoli alla piena sovranità della Sardegna?", tutti vi risponderanno di sì. Se chiedete: "Volete l'autodeterminazione del popolo sardo?", avrete una risposta unanimemente af- fermativa. E quando precisate che cosa si intenda per sovranità e autodeterminazione, la risposta è inequivocabile: "Vogliamo che i sardi si governino da sé, nella piena responsabilità delle proprie scelte". Insomma la gente non fa sottili distinzioni giuridiche fra indipendenza, sovranità, autodeterminazione: sono termini che in concreto vengono ricondotti a un medesimo significato.

Eppure se alle stesse persone chiedete: "Siete favorevoli all'indipendenza della Sardegna?", la domanda fa problema, qualcosa si mette di traverso. Le risposte diventano ambigue e cominciano a porre dei distinguo, con precisazioni e con attenuazioni. Evidentemente la parola indipendèntzia crea allarme, sospetto, innesca associazioni mentali negative o comunque destabilizzanti. Ma perché piena sovranità e autodeterminazione non fanno problema e vengono benevolmente accettate? E dunque, perché indipendèntzia da parola di speranza si trasforma in parola di paura, da parola di libertà diventa disordine e persino terrorismo? Eppure indipendèntzia vuol dire liberazione da uno stato di dipendenza. In senso specificatamente politico è l'atto che sancisce, con una propria costituzione, l'autogoverno, senza ingerenze esterne. Popolo sardo sovrano, nazione sarda sovrana. Ma allora perché piena sovranità è liberante, augurante e invece indipendèntzia è allarmante, inquietante?

Ci sono almeno due spiegazioni. La prima è questa: indipendèntzia viene associata a separatismo: un fantasma lacerante che indica la separazione di una parte dall'intero. Rimarca un distacco, uno strappo violento, psi- cologicamente rimanda a una perdita che alimenta il fantasma dell'abbandono, della solitudine e della insicurezza. Uno sgomento che si manifesta nelle espressioni: ce la faremo da soli? Si tratta di un fantasma molto potente perché pone una domanda estrema, esistenziale: come faremo a sopravvivere?

Il fatto è che una lunga dipendenza ha creato la psicologia della sudditanza che, seppure sofferta e osteggiata, continua a offrire una certa garanzia di sopravvivenza e che però ci impedisce di camminare con le nostre gambe.

In verità indipendèntzia non è separatismo, al contrario instaura una nuova relazione paritaria. Nonc’è violenza, c'è un nuovo contratto, senza sudditanza ed egemonia, nel rispetto reciproco e con pari dignità. Non c'è la metafora corporea di uno strappo che sanguina: pacificamente la Sardegna decide la sua sovranità.creando un nuovo rapporto tra due Stati sovrani, all'interno di una comune appartenenza all'Europa.

Il secondo aspetto negativo sarebbe il carattere violento della lotta, tipico dei movimenti indipendentisti e non solo di Europa. Così nasce la paura degli attentati e delle bombe, l'insicurezza e la conflittualità permanente e persino i costi umani di vittime innocenti. Nulla di tutto ciò.

Pro s'indipendèntzia è costitutivamente pacifica sia come scelta etica di pratica di vita, sia come radicamento e conferma di principi democratici: il rispetto della maggioranza che ha diritto di governare. Se gli indipendentisti sono minoranza, non possono e non devono imporre, in nessun modo, la volontà su una maggioranza che è legittimamente contraria. Si tratta di far valere la bontà delle loro tesi e mostrare alla gente la qualità dei loro programmi, ma se il popolo sardo, nella sua maggioranza, non vuole l'indipendenza, è giusto che non ci sia l'indipendenza. Chi impone con le armi, con le intimidazioni, le proprie idee crede nel separatismo armato che è proprio il contrario dell'indipendenza.

Ma bisogna fare ancora un passo avanti. Nell'orizzonte dell'indipendenza della Sardegna deve scomparire persino il concetto di nemico, finisce quella logica contestativa del periodo autonomistico che ci ha logorato in battaglie sempre frustranti e che ci ha abituato al bisogno di avere sempre un avversario di fronte.

Occorre dunque restituire alla parola indipendèntzia il suo preciso significato politico ed etico, per liberarla da tutte le incrostazioni e attribuirle i valori di libertà, di democrazia, in modo che entri nel dibattito politico pubblico per quello che è effettivamente. E cioè: da una parte dichiarazione del popolo sardo a esercitare la sua piena sovranità e a specificarla nella forma di una costituzione, dall' altra parte attuazione di un nuovo patto con i cittadini nella forma di una democrazia partecipata, con dispositivi di controllo, nuovi rapporti con le autonomie locali che costituiscono la base democratica della partecipazione popolare, con una forte accentuazione di comunità politica a gestione responsabile.

La parola indipendèntzia non è ideologica né disciplinare né confessionale. Nessuno la possiede, nessuno l'amministra. Non appartiene a un codice corporativo: ciascuna persona parlando e ascoltando ne intende il valore di libertà nella sua pratica attuazione.

Oggi in Sardegna c'è un parlare disperso, fatto di sfiducia e risentimento: un rimuginare in privato, un chiacchiericcio di gruppi che non diventa opinione pubblica come consapevolezza di propositi e decisioni collettive. Si vive un tempo di depressione e di scetticismo. Una esperienza di crisi vissuta dentro la famiglia e la comunità, dentro la fabbrica e dentro la scuola, nella bottega artigiana e nella piccola impresa, nei campi della pastorizia e dell' agricoltura. C'è la consapevolezza di essere frenati, condizionati, impediti, per cui non riusciamo a valorizzare pienamente le nostre risorse materiali e umane. Per chi crede nell'indipendenza, la coscienza della crisi non è motivo di scoraggiamento, anzi è un dispositivo per avviare il cammino del rinnovamento. Ciascuno di noi, nell' operare comune, ha risorse per cambiare le cose. La Sardegna è attanagliata da gravi problemi ma ha capacità di risolverli perché ha importanti decisioni da prendere: le scelte migliori sono quelle fatte insieme.

(Bachisio Bandinu)

Nessun commento:

Posta un commento