Tramas è un'organizzazione indipendente che ha due obiettivi:
1) mettere in rete giovani sardi, studenti, ricercatori e
professionisti, operanti nelle città e nei paesi della Sardegna, in continente e all'estero;
2) mettere in cantiere iniziative di analisi e azione per lo sviluppo
della Sardegna.


domenica 6 novembre 2011

Waiting for the Great Cruccuriga!

Lo storico Nicholas Rogers, ricercando le origini di Halloween, nota che mentre "alcuni studiosi di folclore hanno rintracciato le sue origini nella festa romana dedicata a Pomona, dea dei frutti e dei semi, o nella festa dei morti chiamata Parentalia, la festa di Halloween è più tipicamente collegata alla festa celtica di Samhain. Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell'arcipelago britannico, deriva dall'antico irlandese e significa approssimativamente "fine dell'estate". (fonte: wikipedia).

E' chiaro che noi sardi la pensiamo diversamente. Quando supermercati e cartolerie hanno cominciato a decorarsi per Halloween nello strategico periodo che precede gli acquisti natalizi, le famiglie sarde non si sono lasciate incantare da dolciumi a base di zucca e a forma di streghette, concludendo che: "Ita dolcetto o scherzetto: in Sardigna, nosatrus pappausu sos pabassinos".

Ci sarà senz'altro un sostrato comune tra le celebrazioni di novembre dedicate al giorno dei morti diffuse in diverse regioni del mondo, in cui il cibo (i dolci), offerto ai morti, gioca un ruolo chiave. Pabassini a parte, è diffusa, praticamente in tutta la Sardegna, per il 2 Novembre, la consuetudine di fare elemosine e di promettere preghiere in suffragio dei propri cari defunti. Questa usanza, definita a Onifai (NU) 'sas animas', si ritiene tuttora particolarmente efficace se animata dai bambini, che di buon grado girano per le case del paese chiedendo 'su petti coccone' ossia 'elemosine per le anime'.

AppleMark Sto trascorrendo due mesi negli Stati Uniti, e devo dire che essere partecipe dei preparativi delle famiglie locali per Halloween, mi ha un po' fatto sentire il clima di festa che si respire in Sardegna per Ognissanti/i morti. Quando le famiglie si riuniscono al completo per un giro d'onore in camposanto, e i genitori ripercorrono le gesta di nonni e antenati ("ci manca, eh" – "e questo è lo zio che è emigrato in America, mentre lui aveva combattuto nella campagna del Nordafrica "). Magari, la giornata è benedetta da un bel sole, dall'aria fresca, ed è un piacere fare due passi in campagna anche se la terra e' ancora umidiccia dopo qualche giorno di pioggia. E' in fondo un giorno importante non solo per rendere onore ai sacrifici delle generazioni che ci hanno preceduto, ma anche per ricordare il percorso delle nostre comunità, e cercare il senso del nostro percorso collettivo, oggi. (Davide Zaru)

domenica 9 ottobre 2011

: Lo Stato dell’Unione europea di Barroso - una prospettiva underground

Cagliari, un tardo pomeriggio di maestrale il 28 di settembre. Sul Largo Carlo Felice la gente si affretta a pagare gli acquisti e i marciapiedi sono ormai quasi deserti. Le mogli contattano i mariti sui cellulari: “Caro, ti stai sbrigando? Sta per cominciare”. Nessuno vuole perdersi l’avvenimento politico-televisivo dell’anno: la trasmissione a reti unificate del discorso “Stato dell’Unione europa” del Presidente della Commissione europea, José Manuel Durão Barroso. Abbiamo avuto la possibilità di seguire la diretta dal Parlamento europeo di Strasburgo in un bar della Marina, e di registrare i commenti degli avventori in merito ai passaggi salienti del discorso.

Barroso: “Negli ultimi tre anni gli Stati membri, anzi dovrei dire i contribuenti, hanno concesso al settore finanziario aiuti e garanzie per un importo di 4,6 trilioni di euro. Ora il settore finanziario deve sdebitarsi con la società”.

Presenti nel bar: Ite, 4,6 trilioni di euro! Pis’e pira! E meno male che mi hanno anche aumentato anche le spese del conto corrente.

Barroso: La credibilità dell'area dell'euro richiede un approccio veramente comunitario. Dobbiamo integrare veramente l'area dell'euro, dobbiamo completare la nostra unione monetaria con una vera unione economica.

Presenti: ba ba, nuove tasse…Eppoi, cos’è, unione economica? Già mi stai fregando con l’unione monetaria, Josè, cosa vuoi unionizzare ancora?

Barroso: “Nell'Unione attuale lo Stato membro più lento detta la velocità di tutti gli altri. Questo non è credibile neanche per i mercati, ecco perché dobbiamo risolvere il problema del processo decisionale. Ovviamente, uno Stato membro ha il diritto di non accettare le decisioni. È una questione, come si suol dire, di sovranità nazionale. Ma uno Stato membro non ha il diritto di bloccare gli altri, anche gli altri hanno la loro sovranità nazionale e devono poter andare avanti se vogliono farlo”.

Presenti: boh, po mie, chi va piano va sano e va lontano.

Barroso: “La Grecia è, e resterà, un membro dell'area dell'euro. Essa deve quindi rispettare appieno e puntualmente gli impegni assunti”.

Presenti: “I greci, tra un po’ dovranno vendersi anche Moras e Papastathopoulos. Il resto dell’economia è stato già svenduto dal Fondo monetario internazionale. E altro che aiuti europei, i greci imparino a pagare le tasse prima che implorare aiuto”.

All’ennesimo commento euroscettico, e francamente anche offensivo nei confronti dei nostri euro-concittadini greci, decidiamo di lasciare il bar. Tuttavia, ci viene da pensare, il futuro dell’Unione europa è davvero riposto nella capacità di spiegare l’Europa ai cittadini, e di democratizzare la presa delle decisioni europee.
(Davide Zaru)
ps:il testo integrale dello Stato dell'Unione di Barroso, in italiano, su http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=SPEECH/11/607&format=HTML&aged=0&language=IT&guiLanguage=en

domenica 24 luglio 2011

Carouge, una città sarda



Carouge è un comune svizzero di circa 20mila abitanti sulle sponde del fiume Arve, alle porte di Ginevra. Graziosi palazzetti a due piani di fine ‘700 si affacciano sulle due principali arterie stradali. Carouge ospita una delle piu’ famose pasticcerie svizzere, eleganti bar affollati di giovani abbronzati, ed alcune tra le boutique più originali di Ginevra: non ho resistito questa mattina a una coppia di asciugamani in cotone egiziano tessuti artigianalmente nel retrobottega, ed estremamente simili ai tessuti in lino che mia nonna imparo a realizzare da ragazza.

Ebbene, Carouge si vanta con orgoglio di essere una “città sarda”. Una piazza alle spalle del municipio si chiama per l’appunto “Place Sardaigne”. Per celebrare il 225° anniversario della fondazione di Carouge, la municipalità invita la cittadinanza a partecipare ad un quiz, il cui primo premio è costituto da…dieci vacanze al mare in Sardegna.

Non occorre scomodare il Prof. Francesco Cesare Casula per fare chiarezza. Secondo Wikipedia: “successivamente ad un periodo movimentato durante il quale Carouge diventa sarda attraverso il trattato di pace del 30 maggio 1814 e quindi francese al ritorno di Napoleone, e ancora di nuovo sarda in seguito alla sconfitta di Napoleone, Carouge è ceduta al Cantone di Ginevra in virtù del trattato di Torino del 1816, assieme ad altri 31 comuni savoiardi”. Ecco spiegato il motivo per cui, questo gioellino di urbanistica piemontese mostra con fierezza le sue radici “sarde(savoiarde)”.

Questa mattina, passeggiando per le sue viuzze, sono stato colpito da un’iniziativa, a mio avviso encomiabile, attraverso cui l’amministrazione comunale cerca di creare consapevolezza sulla storia della cittadina. Sui marciapiedi di Carouge, in una trentina di punti ‘significativi’ della città, sono stati incollati dei maxi adesivi con sopra stampate delle domande: in place du marchè, un adesivone piazzato di fronte alle rotaie del tram interroga il passante: “E’ vero che questa linea di tram è la quarta più antica d’Europa?”. La risposta (in questo caso, è vero) si verificano su www.225carouge.ch. Di fronte all’ingresso della chiesa parrocchiale i fedeli calpestano la seguente domanda: “E’ vero che dentro la chiesa ci sono sette statue barocche?” (falso, sono solo tre). Di fronte ad un anonimo condominio: “E’ vero che qui, sino al 1910, c’era il mulino di Carouge?” (vero). Sino alla domanda di storia contemporanea: “E’ vero che il cinema BIO fu il rifugio notturno dei giovani contestatori dell’estate del ’69?” (vero).

Ebbene, ho pensato a quanto successo avrebbe un gioco simile a Cagliari. Di fronte all’ingresso della Chiesa di Sant’Agostino, sul largo Carlo Felice, le ciurme di adolescenti dirette da piazza Matteotti a via Manno potrebbero essere interrogate: “E’ vero che il corpo di Sant Agostino fu conservato a Cagliari per oltre duecento anni?” (è vero: dal 504 al 722 d.C.). Di fronte alla sede de L’Unione sarda: “E’ vero che il giornale svolse un ruolo cruciale nella campagna elettorale delle comunali del 1890, vinte da Ottone Baccaredda?” (yes!). Sul parcheggio della Città mercato di Santa Gilla, magari giusto di fronte ai carrelli: “E’ vero che in questa spianata, detta allora ‘Campo Scipione’, si situavano le banchine portuali della Cagliari punica?” (vero anche qua).

Questo il mio appello ai nostri giovani amministratori comunali: facciamo un sacrificio per fare riscoprire la ricca storia di Cagliari a cittadini e turisti. Prendiamo esempio da Carouge, una città sarda!



Davide Zaru

giovedì 23 giugno 2011

La lezione di R.P. ai giovani sardi, di Davide Zaru

Questa mattina ho preso un caffè con R.P., dottorando in diritto internazionale e attivista per i diritti umani, proveniente da un Paese dell’Africa sub-sahariana. Ci siamo visti ai Bagni di Paquis di Ginevra.

Piccola parentesi. I bagni di Paquis sono un posto straordinario. Si tratta di un’infrastruttura degli anni ’50 per la balneazione sul lago Lemano. Sono aperti tutto l’anno e gestititi da una cooperativa. D’inverno ospitano uno spazio benessere con sauna, hammam, bagni di vapore, massaggi, a costi di ingresso politici. D’estate, lo stabilimento offre cabine, sdrai, e i tradizionali servizi per gli amanti del lago. Tutto l’anno, la buvette dei bagni serve la sera la migliore fonduta di formaggio della città e a pranzo un piatto del giorno a circa nove euro (quasi un regalo, considerato che ieri ho speso il corrispondente di venti euro per un ingresso al cinema, e in prima fila non c’era Penelope Cruz, ma orde di bambini chiassosi). Lo stabilimento è semplice ma funzionale, si vanta di attrarre persone da “tutte le nicchie della società”, e soprattutto non si respira quell’aria da “voglio essere Miami” che caratterizza alcuni stabilimenti al Poetto.

Tornando a R.P., questa mattina mi ha regalato alcune perle di saggezza sulla diaspora dei giovani del Paese migrati all’estero, che a mio avviso, con tutti i distinguo, sono applicabili anche alla analoga situazione di tanti giovani europei.

R.P. lavora da una decina di anni a Ginevra con un’organizzazione non- governativa per la promozione dei diritti delle minoranze. Sua moglie, biologa, continua a vivere nella capitale, con i loro due figli. R.P. progettava di tornare al suo paese da diversi anni, una volta terminata la sua tesi di dottorato. Ora che la tesi è stata consegnata, il rimpatrio è imminente. Gli chiedo cosa voglia dire tornare dopo quindici anni di Europa. La risposta mi fulmina: “Io, una volta tornato, voglio fare politica attiva. Sono in una posizione di forza, perché ho idee e motivazione, ma ho maturato la mia esperienza senza mai chiedere niente a nessuno. Non devo nessun favore a politici locali, né al mio clan, né alle istituzioni”.

Ora, nella mia esperienza, è abbastanza comune sentire simili parole da parte di un giovane africano che vive in Europa, soprattutto se si considerano i privilegi della classe dirigente nell’Africa sub-sahariana: tutti vogliono fare politica, come da noi che tutti vogliono lavorare in Regione. Tuttavia, mi colpisce l’approccio: R.P. vuole tornare nel suo paese e contribuire al rinnovamento, il che significa intavolare una discussione critica con l’attuale classe dirigente. Ma non necessariamente scalzare questa classe dirigente: “Nel mio Paese la politica non si muove; l’attuale leadership governa praticamente da trent’anni giocando sull’equilibrio perfetto della rappresentazione di tutte le etnie; negli anni passati, ci sono stati tanti tentativi, invano, di promuovere un’opposizione. Buona parte delle persone attive in questo tentativo sono state rispettivamente integrate nella pubblica amministrazione, perché bisogna pur campare, o sono state convinte adoccuparsi del proprio orticello, piuttosto che della cosa pubblica. Quindi, la sola soluzione sostenibile è cercare di convincere l’attuale classe dirigente ad avviare una transizione”.

R.P. mi parla a lungo della diaspora dei giovani del suo Paese che si recano nei Paesi maggiormente sviluppati per studiare. Si tratta di giovani che fanno sacrifici immensi, e all’estero si organizzano in comunità che svolgono certamente funzioni di aiuto mutuo e solidale. Ma, soprattutto, si tratta di organizzazioni che promuovono il dibattito e l’azione per lo sviluppo del Paese di origine. R.P me ne cita alcune: un’associazione di giovani studenti in giurisprudenza, che ha realizzato una banca-dati delle professionalità di camerunensi residenti in Europa. Grazie a questa banca dati, co-operative e piccole realtà imprenditoriali del Paese riescono a rintracciare giovani professionisti in Europa che possono collaborare ad esempio in progetti di import-export o turistici. “Jeunes Suisse- Afrique”, che presenta progetti di cooperazione allo sviluppo alle istituzioni svizzere, per poi finanziare a cascata micro-progetti di cooperazione ideati e messi in opera da organizzazioni locali radicate nel Paese, che difficilmente hanno i mezzi per partecipare a bandi internazionali. L’ultimo progetto andato in porto: l’apertura di una radio locale grazie al contributo del Cantone di Ginevra (per un investimento di poche centinaia di euro). Altre organizzazioni, più politiche, fanno comunicazione ‘critica’ su quanto succede nel Paese e organizzano mobilitazioni e raccolte firme.

Ma forse, la cosa che più mi ha colpito, è che queste organizzazioni mantengono un contatto continuo con il Paese di origine. Principalmente, con giovani, e si tratta di giovani che magari in passato hanno vissuto all’estero e sono tornati al Paese, dove lavorano come medici, insegnano nelle scuole, si affermano come leader delle loro comunità. Un po’ come nella nostra Tramas de amistade, giovani africani che vivono fuori e giovani che sono rimasti (o sono tornati) hanno avviato un dialogo, che a volte diventa collaborazione concreta su progetti e idee di sviluppo. In altre parole, gli uni hanno bisogno degli altri.

domenica 12 giugno 2011

Bonas novas dae domo nostra (di Salvatore Cubeddu)

Bonas novas dae domo nostra (Tramas de Amistade, Casteddu, Sardigna)....

Filippo Petrucci, primo presidente di Tramas de Amistade, ed Enrico Lobina, suo esponente, sono stati eletti nel Consiglio comunale di Cagliari. A loro, con i complimenti di tutti noi, l’augurio di ottenere, nel loro sicuro impegno, i risultati attesi dai cittadini e le conseguenti gratificazioni per se stessi.

Non rivelo un segreto spiacevole: quando, tra la fine del novembre 2010 e l’inizio del dicembre, Filippo manifestò l’aspirazione ad interessarsi dell’amministrazione della città fui tra coloro che considerava giusto e corretto che i giovani non chiedessero il permesso a nessuno per entrare in politica e che si muovessero seguendo le giuste regole per affermare il loro diritto al protagonismo. In realtà nelle mie parole c’era pure ‘in cauda venenum’: “Difficilmente, in politica, ti dicono ‘accomodati!’ quando chiedi di arrivare nei ruoli che contano”. Sono passati sei mesi e credo che saranno indimenticabili per Filippo, così come per tanti, a Cagliari e oltre.

Per Enrico il discorso è simile solo perché la sua età avanza di qualche anno quella dei trenta. Lui è un ‘politico’ già di lungo corso, avendo rappresentato e volantinato le idee della sinistra ancora con i pantaloni corti, via via nella scuola e nei quartieri del centro storico. L’arrivo sui banchi del Comune è arrivato al tempo giusto e in un contesto che migliore non poteva aspettarsi, con un sindaco poco più che coetaneo che vince le elezioni nella sorpresa più generale. Filippo, Enrico e Massimo Zedda, in tre non arrivano ai cent’anni, quando i sessantenni/settantenni di oggi esibiscono – se e quando possono – pigli e voglie giovanili. ***** ‘Un nuovo Consiglio con tanti giovani’, titolano i giornali. Ma i giornali di questi giorni continuano anche a parlarci dei giovani combattenti per la libertà in Medio Oriente, dei ragazzi che muoiono ogni venerdì in Siria e di tanti altri che si riuniscono a Plaza del Sol a Madrid, a Plaza de Catalugna a Barçellona, con il movimento che si estende nelle piazze d’Europa. Negli ultimi due anni la generazione dei trentenni ha conquistato numerosi comuni dell’interno della Sardegna. I giovani occidentali cominciano a prendere atto di un processo già leggibile più di vent’anni fa: avranno per sé un mondo meno ricco dei loro genitori, di quella generazione che Hosbawn aveva descritto come partecipe dell’ ‘età dell’oro’.

Tempo ‘per’ i giovani, dunque. Tempo ‘dei’ giovani. Comporta innanzitutto il veloce superamento dell’assessorato alle politiche giovanili così come è stato inteso finora, chiara espressione del senso di colpa e del paternalismo dei non- giovani. Tutto sta in quelle proposizioni, ‘per’ e ‘di’. Ci sarebbe da immaginare, infatti, che dei giovani al governo si rivolgessero ai propri coetanei, presenti a

2Cagliari o collegati da tutto il mondo, in cui studiano e lavorano, tramite gli innumerevoli media: “Picciocus, esti s’ora nosta. Movei a fai sa cittadi de Casteddu chi disigiaus ...”. Quale potrà essere la Cagliari ‘ri-costruita’ dai giovani cagliaritani presenti e di quelli richiamati a progettarla da parte di un’amministrazione fantasiosa, aperta, trasparente e attiva? Il progetto di Cagliari ‘ri-costruita’ dai giovani può ricevere un’attenzione che travalica i confini dello schieramento fatto vincere da elettori evidentemente disponibili alle novità.

Abbiamo vissuto una campagna elettorale seria pur presentandosi leggera, combattuta mentre restava civile, ricca di propositi nel mentre gli schieramenti rimanevano alternativi. Ciò è merito anche dei perdenti, dell’avere candidato a sindaco il migliore e il più adatto al ruolo (e pure il più esterno) del loro schieramento e... , forse proprio per questo, penalizzato. Ma, si dice, è l’aria (questo andrebbe discusso) che è cambiata. E i nostri amici del centro-sinistra saranno d’accordo che il risultato è troppo alto rispetto ai meriti finora acquisiti. E’ stata loro affidata una cambiale in bianco e - l’abbiano presente – quella fiducia non tarderà ad arrivare a riscossione.

Tre punti del programma meritano una nuova attenzione: il lavoro, la cultura e il rapporto di Cagliari con la Sardegna. Massimo Zedda, prima e dopo le elezioni, ha giustamente richiamato il problema della disoccupazione giovanile. Non ha detto (né, forse, poteva) che un sindaco può fare ben poco per creare una diretta occupazione stabile. Normalmente, infatti, l’ente pubblico risponde al problema secondo la ricetta di ottant’anni fa, cioè con i ‘cantieri di lavoro’, anche se oggi si chiamano in tanti altri modi. E’ spesso successo che la sinistra al governo apra i ‘cantieri’ e, una volta all’opposizione, si batta per la stabilizzazione di quei posti. L’esito frequente è l’aumento di posti improduttivi nella pubblica amministrazione in cui si entra per merito di lotta e non per concorso, a svantaggio dei cittadini delle immediatamente successive generazioni. Si tratta del meccanismo per cui la grandissima parte dei bilanci dei nostri comuni, delle inutili province e della Regione sono destinati ai loro dipendenti. Non si danno soluzioni facili per il lavoro dei giovani se essi non pongono, a se stessi prima di tutto, la questione di produrre ricchezza nell’agricoltura, nell’industria e nei servizi legati alla produzione di beni. L’intermediazione, in tutte le sue dimensioni economiche sociali politiche e culturali, è la normale funzione di tutte le capitali, e quindi anche di Cagliari quale capoluogo di una regione che ha vissuto tanti periodi coloniali. Ma siamo al centro del discorso: cosa c’è oltre l’intermediazione subalterna (che, recentemente, ha trasferito alle company internazionali persino gran parte del commercio)? E’ possibile parlare a Cagliari di agricoltura che non siano gli uffici dell’assessorato regionale e degli enti? Di industria e terziario produttivo?

Cagliari si mangia il bilancio della Sardegna, di cui lascia qualche osso alle altre città e gli ultimi avanzi ai paesi. Sarebbe utile e urgente avere un sng che riferisca ogni anno ‘ dove vanno a finire e a chi giovano’ i finanziamenti del bilancio regionale. Quando - e si leggano le dichiarazioni dei giorni scorsi – autorevoli politici e uomini di cultura di Sassari e Nuoro affermano che “Cagliari non è una città sarda”, non stanno rifiutando Cagliari, le stanno invece chiedendo

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di farsi carico non solo delle risorse ma pure dei doveri di una capitale: portare a sintesi gi interessi di tutti.

Cagliari non può continuare a crescere in abitanti asciugando le giovani generazioni dei piccoli comuni. La balla che perde abitanti e che pertanto sono necessari dei nuovi quartieri nasconde la questione del rapporto con i comuni dell’hinterland e delle case malandate, sfitte e vuote del suo interno. Cagliari deve rendere ai paesi quel lustro che essi gli offrono ogni anno nella processione di Sant’Efisio, deve fare da vetrina internazionale attraverso i mercati civici del meglio dei loro prodotti, Cagliari deve essere la porta dove si educano i turisti a conoscere in maniera autentica e non folklorica l’insieme della Sardegna.

Cagliari ha bisogno di una politica culturale vera, con le università e le associazioni che si collegano con le consorelle delle altre città e con i comuni dell’Isola, per immaginare e costruire un tempo migliore per la Sardegna tutta. Un tempo veramente ‘sardo’, non da ultimi dell’ultimo stato cui le vicende della storia ci hanno legato.

“Sardinia divisa est in partes duas”, avrebbe scritto Cesare se avesse dovuto combattere contro i sardo-cartaginesi-romani di allora una guerra per impedirgli di fondare la città di Torres o di spostare il capoluogo sardo da Nora a Cagliari. Invece l’ha fatto durante una quindicina di giorni di riposo al termine della cruenta lotta contro Pompeo, concludendo vittoriosamente il ‘de bello civili’. Al pari della Gallia (“divisa in partes tres” ) noi sardi, ‘privati del ‘de bello sardico’, dobbiamo al Caio Giulio la futura Sassari e la Cagliari capitale. E’ vero, continuò la ‘guerra barbaricina’ iniziata contro i cartaginesi ... e quella componente che in altri modi continuò a farsi sentire. Ma è argomento per altre volte, per altri articoli.

“Holiday Island” (di Fabrizio Palazzari)

La stagione estiva sta per partire e ancora non sappiamo se il Bonus Sardo Vacanza e la “Flotta sarda”- con le sue due poderose navi, la “Dimonios” e la “Scintu” – la salveranno dal caro-traghetti. Però, nelle copertine delle riviste di viaggio più blasonate, non mancano sin da adesso le spiagge bianche della nostra isola e, pertanto, non è difficile immaginare, anche per quest’anno, interminabili file di auto e camper lungo i moli di Porto Torres ed Olbia Isola Bianca. Parte da questa visione patinata di “isola delle vacanze”, di ciambella lineare di seconde case, di turismo “mordi e fuggi”, il progetto artistico Holiday Island di due giovani artisti sardi trapiantati a Berlino e del Sardisches Kulturzentrum Berlin (il Centro di Cultura Sarda di Berlino, ndr). L’idea è, in breve, quella di proporre ad alcuni artisti internazionali, che vivono e lavorano a Berlino, di partire per una “non-vacanza” in Sardegna, calandosi per una settimana nella realtà della vita quotidiana nell’isola, il più possibile spoglia dalle immagini da depliant che le sono più note. Citare criticamente un’isola “delle vacanze” nel titolo del progetto, suggerendo un’idea ironica e vagamente take-away dello spostarsi nell’isola, sottolinea la volontà degli autori, Giusy Sanna e Giovanni Casu (protagonisti dell’intervista doppia di questa settimana) di capire e raccontare come viene percepita la Sardegna al di fuori dei circuiti turistici, usando il linguaggio dell’arte contemporanea. Il progetto di Holidays Island ha nel suo DNA la fortunata esperienza di Genau!Sardinia, la mostra berlinese tenutasi nel maggio del 2010 che presentava una selezione di artisti sardi legati alla capitale tedesca (www.genau.sardanet.de). Il nome “Genau”, che in tedesco significa “esatto”, riassumeva in una parola, sia per il suo significato che per la sua forte assonanza con il sardo, la finalità di quel progetto: indagare il sentire comune di un gruppo di giovani artisti sardi formatisi in un contesto mediterraneo, indubbiamente peculiare come quello sardo, e il loro sviluppo nel tessuto sociale e culturale europeo. Holidays Island segue le linee guida di Genau! cercando di riuscire nell’intento di mostrare la Sardegna nel suo presente, integrata nella società contemporanea. La scelta di far vivere dei giovani artisti in un piccolo paese, lontano dalla Sardegna da cartolina, risponde all’esigenza di fare della contrapposizione tra i ritmi della grande metropoli e la calma, la lentezza e la coesione dei piccoli paesi un valore fondamentale. Ad ognuno di essi verrà chiesto di raccontare l’esperienza attraverso la produzione di un’opera, una sorta di cronaca o diario di viaggio, che possa restituire utilmente una visione alternativa, forse imprevedibile del territorio. Holidays Island si terrà a Samatzai, piccolo centro del medio Campidano, dall’8 al 15 giugno 2011 e gli artisti, selezionati dalla curatrice Giusy Sanna, saranno Nuno Vicente (Portogallo), Ewa Surowiec (Polonia) e Bryn Chainey (Australia). Il risultato del progetto verrà riassunto in una mostra che avrà luogo a Berlino nel prossimo inverno. Sarà l’occasione per presentare sia il lavoro svolto, che per discutere delle altre realtà artistiche presenti in Europa e delle loro peculiarità. Riuscire a parlare della Sardegna senza citare direttamente patrimonio naturalistico e folklore, rappresenta la vera sfida del progetto per

2creare un nuovo immaginario, fatto, per quanto possibile, di innovazione e ricerca artistica, in linea con la scena mondiale dell’arte.

Sardinia - an outsider's first impression (di Barbara Grosse)

I had heard about Sardinia before. It was supposed to be beautiful, with people speaking another language than other Italians, who look differently even, very kind people who eat the best food on earth (or at least in Europe), and who don't cherish much the values of public transport (according to friends who had tried to travel the island via the public bus system and ended up stranded in the middle of nowhere).

From what I was told, I imagined the Sardinian people to be immensely proud of their great past as successors of the mysterious Nuraghic people, and their rebellious quest for independence, no matter how enduring and opressive their occupiers were.

I expected this self-confidence to be visible in particular through a use of the language: Sardinian. Soon I found out it was not so. The use of Sardinian among the majority of Sardinians seems to be restricted to ordering the "Ichnusa" beer, thereby preserving the ancient name of the island. I come from a country, Austria, where the public use of a minority language has been a major concern for minorities for a long time, a right enscribed in a State Treaty and in the constitution. The contentious issue here was whether the criterion for determining the bilingual character of a village which requires the authorities to install bilingual place signs, should be set at 10%, 17,5% or 25% of minority population (currently the second option prevails). Sardinians on the other hand would have hardly any difficulty argueing that they constitute the majority of people living in Sardinia . But there seems to be no interest by the authorities to even encourage the use of the language. What is the reason for this lack of awareness and this carelessness? Why is there no public interest like in Ireland , where people almost forgot their own ancient language, but are nowadays encouraged, through schooling and cultural initiatives, to practice their language?

Likewise, I expected Sardinians to be experts in the culture of the Nuraghic people, and was surprised to learn that no, there are no school trips organised to the astonishingly well preserved ruins of the Nuraghic settlements, and there are no adventure trips organised at full moon with bonfire and spiritual experience guaranteed. The Nuraghic vestiges could be a Stonehenge for Sardinia , only that there is even much more of it available around the island. How can it be that I had never even heard of the Nuraghic people in my life before coming to Sardinia ? Noone had spread the word.

Likewise, I expected Sardinians to be experts in the culture of the Nuraghic people, and was surprised to learn that no, there are no school trips organised to the astonishingly well preserved ruins of the Nuraghic settlements, and there are no adventure trips organised at full moon with bonfire and spiritual experience

2guaranteed. The Nuraghic vestiges could be a Stonehenge for Sardinia , only that there is even much more of it available around the island. How can it be that I had never even heard of the Nuraghic people in my life before coming to Sardinia ? Noone had spread the word.