Tramas è un'organizzazione indipendente che ha due obiettivi:
1) mettere in rete giovani sardi, studenti, ricercatori e
professionisti, operanti nelle città e nei paesi della Sardegna, in continente e all'estero;
2) mettere in cantiere iniziative di analisi e azione per lo sviluppo
della Sardegna.


domenica 31 gennaio 2010

‘Quegli imbroglioni dei giovani sardi che vivono fuori Sardegna’ vs. ‘quei pelandroni che se ne stanno in Sardegna’

E’ incorniciato di delicati fiorellini azzurri lo scambio di opinioni tra giovani sardi che vivono in Sardegna e giovani sardi che vivono fuori. Date uno sguardo agli ultimi numeri delle interviste doppie di “Sa chida sarda”, scaricabili dal blog tramasdeamistade.blogspot.com. Alla domanda: “che cosa ne pensi dei giovani sardi che vivono fuori?”, il sardo che vive in Sardegna, al posto di rispondere: “sbruffoni, egoisti che andavano bene in inglese a scuola, mentre ora tocca a me fare la spesa”, replica sulla linea: “persone che non hanno avuto l’opportunità di trovare una realizzazione nell’isola, e a costo di grandi sacrifici cercano una crescita personale lontano dai propri cari”. Viceversa, i giovani che vivono fuori definiscono i loro corrispondenti nell’isola: “eroi della quotidianità, ragazzi e ragazze che fanno grandi sacrifici per spendere la loro professionalità in un’isola in cui i giovani vengono trattati alternativamente come bamboccioni o come ‘i figli di…’”. Insomma, il punto di incontro tra sardi che stano fuori e sardi che stanno dentro è rappresentato dalla parola “sacrifici”. Ma non solo. I nostri intervistati, ovunque essi vivano, nell’isola, in continente o all’estero, mostrano un attaccamento speciale all’isola e all’identità sarda, così come concordano sul fatto che ciascuno possa dare un proprio contributo alla crescita e allo sviluppo della Sardegna. In cosa consiste questo contributo? I sardi che stanno all’estero o nella penisola sono consapevoli del fatto che i sardi che stanno in Sardegna difendono quotidianamente la posizione della categoria dei giovani, nel senso che intraprendono attività imprenditoriali, fanno gli insegnanti, animano la cultura dello sport sardo, affollano cinema e locali. Alcuni temerari fanno addirittura politica attiva. I sardi che vivono in Sardegna sanno bene che i loro coetanei che abitano oltre Tirreno sono impegnati in settori di alta specializzazione, lavorano nell’industria degli affari internazionali, fanno ricerca. I sardi che sono fuori sono di solito ben lieti di trasmettere la loro esperienza ai loro familiari e amici.

Signori!, come non salutare con ottimismo questa simpatia reciproca e rinata unione di intenti tra sardi che stanno fuori e sardi che stanno dentro? E, soprattutto, come sviluppare ulteriormente un dibattito tra queste due categorie di giovani sardi?

Tramas de Amistade sta cercando, ormai da un anno, di mettere in contatto i sardi ‘della diaspora’ con i giovani sardi delle città e dei paesi sardi, e di permettere un confronto reciproco delle proprie esperienze. Gli argomenti di conversazione non mancano. Alcuni dei giovani che stanno in Sardegna che abbiamo intervistato non nascondono di pensare di continuo ad un’esperienza extra-isolana, anche per un periodo limitato di tempo. E cercano consigli. Alcuni sardi che stanno fuori si dicono disposti a tornare, ma a condizione di poter utilizzare in Sardegna le conoscenze acquisite fuori e di poter continuare a crescere. Anche loro sono affamati di consigli. La scommessa successiva è mettere i sardi che stanno in Sardegna e i sardi che stanno fuori attorno ad uno stesso tavolo – eventualmente virtuale - e farli parlare del futuro della Sardegna. Continuate a seguire, su queste pagine, il seguito di questo dibattito.

                                                                                                                                    (Davide Zaru)

giovedì 14 gennaio 2010

Giovani sardi ed identità: cronaca di un incontro ad Olbia

Parlare di identità sarda e del rapporto “ locale-globale” agli studenti delle superiori di Olbia è stato davvero interessante e fruttuoso perché Olbia è la città più multietnica della Sardegna. Basta scorrere l'elenco dei cognomi nei registri di classe per capire che è una città di provenienze: non solo quelle tradizionali galluresi e muntagnine, campane, pugliesi e genovesi ma anche le recenti immigrazioni europee, africane, mondiali del turismo, dell'industria, del commercio e dei servizi, oltre a quell'immigrazione che non è più “territoriale” e che gestisce investimenti e transazioni.

Da questa mescolanza deriva un arcipelago “giovani” pluridentitario in una città che non ha tradizionalmente una forte o resistente identità locale. Questo carattere distintivo espone a un'ambivalenza: da un lato una città aperta dove le diverse culture convivono, dall'altro una realtà di convivenza statica in cui le diverse provenienze non riescono a costituire un'identità nuova e in cammino, e che invece rischia di omogeneizzarsi al modello dominante della cultura di massa nelle espressioni del consumismo, degli pseudo miti e valori e dei luoghi comuni.

Nel dibattito risultava dunque interessante intervenire con una domanda: in tale contesto quale possibile  identità locale in produttiva relazione con l'identità globale? In un primo momento la discussione rischiava di impelagarsi nella solita contrapposizione tra “sono uno studente sardo, orgoglioso di esserlo” e “sono un cittadino del mondo e la sardità non mi dice nulla”. Ma elaborando il concetto di identità veniva fuori che nella vita concreta dei giovani studenti non c'era né identità locale né identità globale perché dei due termini insisteva una concezione vaga e astratta, non riferita all'esperienza reale: il locale si identificava con il passato, il globale era un insieme di stimoli pubblicitari e consumistici.

Il dibattito si orientava per ciò sulla precisazione dei termini e prendeva corpo la definizione di  “locale” come “Territorio- Olbia-Gallura, come risorse e attività economiche, come produzione di merce e di senso, come presenze industriali e artigiane; ed entrava in campo: turismo e quale turismo, ambiente, vini, sughero, granito, agroalimentare, civiltà degli stazzi, vivibilità della città, occupazione e disoccupazione, livello d'istruzione, forme della criminalità, nuove povertà, porto e aeroporto, sviluppo edilizio e altro. Insomma il locale prendeva corpo nella sua complessità reale con un'ultima constatazione: il futuro di gran parte dei giovani dipende da come elaborare positivamente il “locale”. Dunque territorialità e capitale umano sono dispositivi di futuro per i giovani. Così gli studenti  si sentivano situati in una spazialità e temporalità attiva che apriva immediatamente e necessariamente il rapporto col globale. Infatti lo sviluppo locale, come produzione materiale e culturale, non poteva che porsi in relazione col globale nella logica di una economia e di una cultura aperta.

A questo punto interveniva il termine “glocale” per specificare la modalità con cui il “locale” dà una sua forma particolare al “globale” nell'esperienza di azione e di pensiero, di produzione e di comunicazione, di partecipazione e di responsabilità. Precisati i termini della relazione “locale-globale” venne meno l’attribuzione conflittuale ma soprattutto venne a chiarirsi la funzione positiva della relazione nella concreta esperienza di vita individuale e sociale.

(Bachisio  Bandinu)