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domenica 20 giugno 2010

Le spiagge di Israele e la marea nera

Israele ha tante spiagge. Quelle di Tel Aviv, piene di bar e di ragazze e ragazzi appoggiati placidamente a prendere il sole o a giocare a racchettoni (maktat, lo “sport nazionale israeliano”); quelle di Eilat, dove basta nuotare in pochi metri di acqua per vedere la barriera corallina carica di pesci colorati; quella di Ashdod,lunga profonda e sabbiosa. Due giorni fa camminavo su quella sabbia gialla e sottile in mezzo a enormi meduse spiaggiate parlando con Jacques, ebreo francese che passa 5 mesi all’anno in Israele e che ha un figlio che ha deciso di fare aliyah (ossia trasferirsi in Israele) da diverso tempo. “A volte dalle nostre finestre vediamo gli elicotteri che vanno verso Sud, e poi tornano. Lo sappiamo perfettamente cosa vanno a fare”. Ashdod è a circa 30 chilometri a Nord di Gaza, i missili qassam di Hamas sono arrivati anche qui anche se hanno colpito con più facilità Ashkelon ad appena 10 chilometri dalla Striscia. Ashdod è anche il porto dove sono fatti sbarcare i passeggeri delle navi che hanno provato a sfondare il blocco imposto da Israele. E anche i morti sono stati sbarcati qui. Il giorno dopo l’azione di forza dell’esercito israeliano ero a pranzo con altri israeliani di origine francese (algerini), che erano perfettamente d’accordo all’azione di forza; la sera, ero a una manifestazione di israeliani contrari (ce ne sono state diverse in diverse città). In Israele capita spesso, le posizioni sono varie e i contrasti comuni. L’attacco alle navi ha diversi aspetti negativi. Il primo è che sono morte dieci persone, sicuramente non dei pacifisti gandhiani, però degli esseri umani. Il secondo è che Israele è tornata alla ribalta ancora una volta per i suoi eccessi militari e, ciò che forse è peggio, la leadership israeliana attuale sembra non capire che l’opinione del mondo non è un elemento del quale, oggi, Israele possa più fare a meno. Ugualmente, visto da Gerusalemme, ciò che sembra essere mancato nell’analisi internazionale di questo tentato sbarco è capire la reale situazione nonché il cui prodest. Parlando di reale situazione si intende il fatto che il blocco a Gaza viene fatto da Israele ma anche dall’Egitto, paese arabo musulmano (da costituzione) e che si dichiara amico dei palestinesi; Egitto che non fa entrare i lavoratori palestinesi, che sta costruendo un muro più massiccio di quello israeliano (e che penetrerà sottoterra per circa 20 metri), che non manda nessun tipo di aiuto nella Striscia (solo ora hanno ricominciato, la pressione internazionale era eccessiva e bisognava mostrarsi buoni). Dove sono i commentatori occidentali che hanno rilevato questo fatto? Forse solo qualche giornale di estrema destra; bisogna veramente affidarsi a Feltri, che ugualmente gioca una partita sporca, per avere altre informazioni? E perché i pacifisti d’occasione non si occupano minimamente dell’Egitto? Il cui prodest è un altro aspetto interessante. Da quest’azione ci hanno guadagnato Hamas e la Turchia. Hamas perché può continuare monopolizzare l’attenzione del mondo; la Turchia perché quest’azione le da “lustro” nel panorama del mondo musulmano. L’azione turca è comprensibile: rifiutata dall’Europa prova a giocare un ruolo di leader nel vicino Oriente; basta pensare come pochi giorni prima la repubblica turca avesse chiuso un accordo con Brasile e Iran, celebrato sui giornali di tutto il mondo. Strano che abituati ai complotti nostrani nessuno abbi pensato che l’azione turca (l’unica nave che ha avuto problemi batteva bandiera turca ed imbarcava soprattutto cittadini di quel paese) poteva essere stata pensata per “cercare” quel tipo di incidente (senza immaginare che ci sarebbero stati dieci cadaveri). Questo incidente è l’occasione propizia per la Turchia per smarcarsi da Israele, paese al quale vende la preziosa acqua, ma dal quale acquista armi, contratti da 6 miliardi di dollari, ora tutti bloccati. Turchia che ora appare un paladino dei diritti umani, senza nessuno che ricordi che in questo paese basta stampare un libro in curdo e si rischiano anni di galera (si veda http://www.isardi.net/pagine/articoli_dettaglio.asp?ID=665). Un altro aspetto che forse non è stato capito in Occidente è che questo è il Medio Oriente e non l’Europa. Se si tenta di fare un’azione di forza e in seguito si oppone una risposta violenta a dei militari, in questa area del mondo la reazione può essere questa. L’armata israeliana difende i suoi soldati e non vuole correre più il rischio che vi siano morti o che vi siano sequestri, come quello del soldato Gilad Shalit, rapito da 1453 giorni da Hamas, nascosto e senza contatti diretti con la propria. L’ultimo video è stato un cartone animato di Hamas dove il soldato torna in Israele dentro una bara. Se i pacifisti avessero provato un’azione simile negli altri paesi dell’area la reazione sarebbe stata peggiore. E anche quando avvengono semplici visite, ricognizioni per monitorare i diritti umani, le risposte non sono propriamente democratiche. Basti pensare alla delegazione, composta anche da diversi Sardi, recatasi alcuni anni fa proprio in Turchia per visitare dei villaggi curdi: fermati, perquisiti, privati delle immagini, non arrestati solo perché occidentali (si veda http://nuovacitta.tripod.com/artago01/FERMATI.htm). Le spiagge che hanno visto passare gli elicotteri hanno dunque varie minacce: i razzi, l’incapacità di Israele di capire che è tempo di cercare e trovare altre strade che non siano solo il ricorso alla forza, l’odio indiscriminato di parte del mondo. Ma non solo. C’è anche una marea nera che si estende su Israele e si manifesta proprio mentre sto scrivendo. Questa minaccia non è il petrolio. Sono gli haredim (coloro che tremano davanti a Dio). Sono ebrei ultra-ortodossi, tra il 7 e il 10% della popolazione israeliana, parte di questi non riconoscono lo Stato d’Israele, affermando che questo potrà avverarsi sulla terra solo dopo l’avvento del Messia. Questo non gli impedisce di ricevere fondi statali (molti di loro non lavorano, studiano e basta), di usufruire di scuole e ospedali pubblici e di non fare il servizio Si vestono quasi tutti di nero (con una camicia bianca), portano dei cappelli stile Borsalino o dei copricapo fatti con pelliccia; le loro origini sono centroeuropee (Polonia e Lituania), il loro abbigliamento ricalca quello che usavano lì, peccato che in Israele si arrivi a 40° gradi. Oggi a Gerusalemme, e in un quartiere ortodosso di Tel Aviv, circa 100.000 uomini, una manifestazione imponente per Israele, 4 una marea nera, si è riversata nelle strade per manifestare contro una sentenza della Corte Suprema di Giustizia che ha posto agli arresti alcuni elementi di questa eterogenea comunità. Questi avevano infatti rifiutato di mandare i propri figli in una scuola frequentata anche da ebrei sefarditi (di origine orientale) per la differente interpretazione della Halakha (legge ebraica). Il peso di questa comunità all’interno di Israele sta pericolosamente aumentando e non poche sono le critiche che il Paese laico continua a rivolgere contro le discriminazioni positive che questa comunità, che rifiuta l’idea di Stato Ebraico continua a sfruttare (di recente il sindaco di Tel Aviv ha criticato fortemente il sistema educativo haredi, si veda http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3883809,00.html). Questo, quanto i nemici esterni, sarà il grande problema di Israele nei prossimi anni. E mentre 100.000 haredim sfilavano intorno ai loro quartieri e al carcere, 40.000 persone assistevano, sempre a Gerusalemme, al concerto di Elton Jhon. Tutto questo è Israele, che si apre con spiagge di sabbia sui suoi mari. Estremisti religiosi, giovani abbronzati e sonnolenti sul lungomare della peccaminosa Tel Aviv, concerti di rockstar e preghiere. E una massa di persone normali che affrontano ogni giorno la vita. Un paese complesso, che non si può ridurre a una limitata e falsa maschera d’odio. (Filippo Petrucci)

2 commenti:

  1. Ma questa è pura propaganda dello Stato di Israele. Come si possono travisare le cose in questo modo? Come si può dimenticare la pulizia etnica del 1948 e l'espulsione della popolazione nativa della Palestina? E la differenza di status in base all'appartenenza etnico-religioso, e che Israele è uno stato etnico-religioso? Anche nel Sudafrica dell'Apartheid le spiagge erano belle... per i bianchi.

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  2. Ciao Alessandro,

    Il mio articolo era un commento all'attacco di Gaza e contemporaneamente una critica all'attuale inerzia israeliana di fronte all'avanzata religiosa in Israele.
    Due problemi enormi in Israele, due problemi che espongono ancora una volta questo paese alle critiche (giuste) della opinione pubblica mondiale.
    Non riesco a capire perché se parlo di alcuni fatti di cronaca dovrei mettermi a ricordare il 1948 o le differenze di status.
    Volevo parlare dello Stato di Israele, di due fatti di cronaca avvenuti a breve distanza l'uno dall'altro e che pongono questo paese in dimensioni lontanissime da un normale paese occidentale. Non capisco cosa sto travisando. Capisco ancor meno perché ogni qual volta si parla di Israele sia obbligatorio ripercorrene tutta la storia. Qualcuno lo fa quando parla degli altri paesi della regione?

    A piace l'ide di Israele nel senso che mi piace l'idea sionista come si formò (fine '800), mi piace l'idea di un popolo che si ritrova e si fa Stato.
    Non mi piace la politica attuale di Israele e ancor meno mi piace la politica messa in atto per quanto riguarda le colonie, processo iniziato avventatamente dopo 1967
    e che ha portato e porterà solo problemi a tutti gli abitanti della regione.
    La critica di una azione politica non corrisponde però per me alla critica all'esistenza stessa dello Stato in se.
    Tutti gli Stati dell'area sono frutto dell'azione coloniale europea (invenzioni statali, come Israele); tutti gli altri Stati dell'area attuano delle politiche di repressione violenta interna,
    arrivando anche a bombardare i propri cittadini (Assad contro fratelli musulmani negli anni '80, ossia -storicamente- ieri), a occupare militarmente altri paesi (per 30 anni il Libano occupato dalla Siria), a ammazzare e cacciare i "fratelli arabi" palestinesi (ad esempio settembre nero in Giordania).
    Tutte le minoranze cristiane nella regione sono emarginate e dimenticate, quando non perseguite (una su tutti la grossa minoranza copta in Egitto, circa l'8% della popolazione).
    Eppure, se qualcuno dovesse fare un articolo su questi paesi, difficilmente gli si richiederebbe di descrivere tutte queste fasi storiche e ancor meno di evidenziare le enormi contraddizioni, le profonde discrepanze di questi paesi, il trattamento che viene inflitto alle minoranze.

    Ancora una volta. Il fatto che mi piaccia il principio di base di un'idea che si fa Stato, non vuol dire che ho il prosciutto sugli occhi e che giustifichi tutto ciò che accade.
    La mostra che organizzammo in aprile per evidenziare la violazione dei diritti umani in corso nei checkpoint israeliani in Palestina dovrebbe esserne la prova.
    Voglio però poter continuare ad avere la possibilità di parlare di Israele (uno Stato complesso non risolvibile in una contrapposizione giusto/sbagliati) in maniera libera, senza dovernmi giustificare e senza dover prima chieder scusa per farlo.

    Scusami per la lunghezza della replica,
    buon proseguimento di giornata,
    Filippo

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