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giovedì 14 gennaio 2010

Giovani sardi ed identità: cronaca di un incontro ad Olbia

Parlare di identità sarda e del rapporto “ locale-globale” agli studenti delle superiori di Olbia è stato davvero interessante e fruttuoso perché Olbia è la città più multietnica della Sardegna. Basta scorrere l'elenco dei cognomi nei registri di classe per capire che è una città di provenienze: non solo quelle tradizionali galluresi e muntagnine, campane, pugliesi e genovesi ma anche le recenti immigrazioni europee, africane, mondiali del turismo, dell'industria, del commercio e dei servizi, oltre a quell'immigrazione che non è più “territoriale” e che gestisce investimenti e transazioni.

Da questa mescolanza deriva un arcipelago “giovani” pluridentitario in una città che non ha tradizionalmente una forte o resistente identità locale. Questo carattere distintivo espone a un'ambivalenza: da un lato una città aperta dove le diverse culture convivono, dall'altro una realtà di convivenza statica in cui le diverse provenienze non riescono a costituire un'identità nuova e in cammino, e che invece rischia di omogeneizzarsi al modello dominante della cultura di massa nelle espressioni del consumismo, degli pseudo miti e valori e dei luoghi comuni.

Nel dibattito risultava dunque interessante intervenire con una domanda: in tale contesto quale possibile  identità locale in produttiva relazione con l'identità globale? In un primo momento la discussione rischiava di impelagarsi nella solita contrapposizione tra “sono uno studente sardo, orgoglioso di esserlo” e “sono un cittadino del mondo e la sardità non mi dice nulla”. Ma elaborando il concetto di identità veniva fuori che nella vita concreta dei giovani studenti non c'era né identità locale né identità globale perché dei due termini insisteva una concezione vaga e astratta, non riferita all'esperienza reale: il locale si identificava con il passato, il globale era un insieme di stimoli pubblicitari e consumistici.

Il dibattito si orientava per ciò sulla precisazione dei termini e prendeva corpo la definizione di  “locale” come “Territorio- Olbia-Gallura, come risorse e attività economiche, come produzione di merce e di senso, come presenze industriali e artigiane; ed entrava in campo: turismo e quale turismo, ambiente, vini, sughero, granito, agroalimentare, civiltà degli stazzi, vivibilità della città, occupazione e disoccupazione, livello d'istruzione, forme della criminalità, nuove povertà, porto e aeroporto, sviluppo edilizio e altro. Insomma il locale prendeva corpo nella sua complessità reale con un'ultima constatazione: il futuro di gran parte dei giovani dipende da come elaborare positivamente il “locale”. Dunque territorialità e capitale umano sono dispositivi di futuro per i giovani. Così gli studenti  si sentivano situati in una spazialità e temporalità attiva che apriva immediatamente e necessariamente il rapporto col globale. Infatti lo sviluppo locale, come produzione materiale e culturale, non poteva che porsi in relazione col globale nella logica di una economia e di una cultura aperta.

A questo punto interveniva il termine “glocale” per specificare la modalità con cui il “locale” dà una sua forma particolare al “globale” nell'esperienza di azione e di pensiero, di produzione e di comunicazione, di partecipazione e di responsabilità. Precisati i termini della relazione “locale-globale” venne meno l’attribuzione conflittuale ma soprattutto venne a chiarirsi la funzione positiva della relazione nella concreta esperienza di vita individuale e sociale.

(Bachisio  Bandinu)

1 commento:

  1. Ottimo, questo incotro mi pare molto interessante, e il tema locale-globale credo potrebbe essere la base di un incontro futuro. Perchè non aprire un dibattito sul blog e poi organizzare l'incotro? Che ne dite?
    Roberto Prost

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