Tramas è un'organizzazione indipendente che ha due obiettivi:
1) mettere in rete giovani sardi, studenti, ricercatori e
professionisti, operanti nelle città e nei paesi della Sardegna, in continente e all'estero;
2) mettere in cantiere iniziative di analisi e azione per lo sviluppo
della Sardegna.


domenica 28 febbraio 2010

La promozione della qualità dei prodotti della Sardegna

Di recente, il Consiglio Regionale della Sardegna ha approvato all’unanimità la legge che propone la “promozione della qualità dei prodotti della Sardegna”. Tale normativa si pone l’intento di favorire il consumo dei prodotti agroalimentari di qualità, locali e a filiera corta nell’ambito della ristorazione collettiva, dell’attività agrituristica e del turismo rurale, in un’ottica di riduzione degli impatti ambientali. L’obiettivo è quello di incrementare l’offerta di prodotti agricoli e agroalimentari di origine regionale da parte della distribuzione e degli esercenti attività di ristorazione nell’ambito del territorio regionale,   garantendo inoltre maggiore informazione ai consumatori sull’origine e le specificità dei prodotti agricoli e agroalimentari regionali. Si punta inoltre ad incrementare la vendita diretta di questi prodotti da parte degli imprenditori agricoli ed in ultimo, ma non meno importante, favorire il consumo di alimenti privi di organismi geneticamente modificati (OGM). Al fine di raggiungere tali obiettivi la Regione promuove il consumo di prodotti tipici, DOP e IGP, all’interno dei servizi di ristorazione collettiva. Ciò significa che in tutte le mense prescolastiche, scolastiche, universitarie, ospedaliere, nelle residenze private convenzionate e nei ricoveri socio assistenziali si prediligeranno i suddetti prodotti, puntando sulla qualità, la tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Trovo che questa legge sia di fondamentale importanza (e non è un caso che sia stata approvata all’unanimità, senza differenze di schieramenti politici) perché dà nuova linfa ad un settore, quello dell’agricoltura, che nella nostra regione ha un potenziale immenso ma ancora scarsamente sviluppato. Saranno inoltre ancora più restrittivi i requisiti che dovranno avere gli agriturismo per esser definiti tali e ci saranno severi controlli dei servizi preposti (organi di Polizia, Ente Forestale, vigilanza ambientale della Regione e i servizi di igiene delle aziende sanitarie locali territorialmente competenti) al fine di garantire l’applicazione delle disposizioni di legge. Da non sottovalutare inoltre il vantaggio per noi consumatori; si avvertiva infatti l’esigenza di maggiore trasparenza e di chiarezza, perché svariate volte ci hanno “spacciato” prodotti di importazione come primizie sarde: ricordiamo per esempio il maialetto in arrivo dalla Romania o la bottarga del Brasile venduta come prodotto oristanese, oppure a quanti di noi è capitato di trovarsi servito al tavolo di un agriturismo un bel piatto di gnocchetti Barilla? La speranza è quella di riscoprire i nostri prodotti e magari dare spazio a nuove attività imprenditoriali che possano riportare in vita vecchie tradizioni ed antichi sapori. Tale condizione potrebbe inoltre favorire il campo della ricerca scientifica sui prodotti locali, sui prodotti di nicchia, che per via della loro peculiarità raramente sono regolamentati da norme o linee guida specifiche. Un esempio è sicuramente la bottarga, il “caviale” dei sardi, prodotto che in questo ultimo decennio ha visto aumentare vertiginosamente la sua richiesta sul mercato, esportata in tutto il mondo e particolarmente apprezzata nei Paesi orientali, col Giappone in prima fila. Ed è proprio per questo motivo che è nata l’esigenza nei produttori di unirsi in un consorzio, con l’intento di ottenere il marchio IGP (Indicazione di origine Protetta), puntando in particolar modo sulla ricerca e sul miglioramento del proprio prodotto. L’augurio è che questo sia solo l’inizio e che molte altre primizie locali possano arrivare sulle nostre tavole e sui mercati nazionale ed estero.

(Valeria Brandas)

domenica 21 febbraio 2010

Il fumo sull’Alcoa

La vicenda della Alcoa induce alcune riflessioni; di fronte ad una crisi così drammatica la classe politica stenta a trovare nuove soluzioni e indugia nel proporre vecchi percorsi che sono, essi stessi, alla base del fallimento di questa e di altre imprese industriali in Sardegna. Con un suo intervento su un giornale locale Francesco Pigliaru, ex assessore alla programmazione per buona parte del governo Soru, invita ad “andare oltre un modello di sviluppo tramontato che ha disperso un'enorme quantità di risorse pubbliche”; ciò che rende drammatica la disoccupazione è l’assenza “nuova politica di protezione di chi resta senza un lavoro” e propone di discutere sulla proposta di Pietro Inchino, presentata in Senato da circa un anno, dove centrale è “l'idea che chi licenzia poi contribuisca a finanziare il percorso del licenziato verso un nuovo lavoro. In questo modo l'impresa avrebbe tutto l'interesse a scegliere percorsi rapidi ed efficaci, e così facendo favorirebbe la crescita qualitativa dei servizi di orientamento e di formazione offerti nel territorio”. E’ evidente la consapevolezza che né l’energia a “basso costo” per l’Alcoa, né l’affrontare singolarmente i problemi di una singola impresa serva a risolvere la crisi dell’intero comparto dell’industria pesante in Sardegna. Ci sono altre riflessioni da fare? Una parte politica mostra una certa volontà di dibattito su quale sia l’energia migliore per lo sviluppo della Sardegna e quale possa essere (se c’è) il ruolo del nucleare. E’ forse utile dibattere prima di tutto su quanta energia sia utile allo sviluppo e al benessere de Sardi. Molti credono, anche fra i politici, che l’ostacolo a tale sviluppo e benessere vada ricercato nella insufficiente produzione di energia nell’ isola; i più attenti sono informati del fatto che la nostra produzione annua si aggira sui 12-13mila GWh/anno (circa l’8% in più del nostro consumo); quasi invece nessuno sa che la produzione annua di energia elettrica della regione Liguria, che per numero di abitanti più si avvicina alla Sardegna, pur essendo parte integrante del triangolo industriale italiano è di appena 6 mila e seicento GWh. E’ importante sapere che entrambe (Sardegna e Liguria) esportano extraregione direttamente o indirettamente (si considera esportazione indiretta quella di tutti i prodotti ad alto contenuto energetico) oltre la metà della loro produzione. La strada quindi di ulteriore produzione di energia elettrica sicuramente non è quella giusta. C’è il problema delle tariffe che abbiamo già affrontato in un altro editoriale; finché non si elimina la turbativa di mercato relativa all’acquisto, da parte del GSE (Gestore del Servizio Elettrico) di energia elettrica a tariffa incentivata (circa il doppio del prezzo corrente attraverso i meccanismi del CIP6 ed i certificati verdi) dall’ operatore dominante rappresentato dalla SARAS, non si può trovare nessuna soluzione credibile. Il decreto legge, sull’Alcoa, la cui discussione per la conversione in legge è in corso in Senato, mostra come anche a Roma si cerchino soluzioni parziali e non praticabili per la soluzione della crisi che investe la Sardegna. Perché tariffe agevolate all’Alcoa del Sulcis e non all’ Equipolimeri e alla Lorica di Ottana o anche ai Sign.ri Pistis e Paddeu e a tutte le piccole e medie imprese, anche agroalimentari, presenti in Sardegna? Per capire meglio la crisi dell’Alcoa vale la pena di ricordare che l’alluminio è un materiale totalmente riciclabile. Il suo recupero e riciclo, oltre a evitare l’estrazione da bauxite (che comporta la produzione annua di 1 500 000 ton/anno di rifiuti speciali, quali i fanghi rossi con ulteriori ed elevati costi economici e socio-sanitari), consente di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrlo, partendo dalla materia prima. Infatti per ricavare dalla bauxite 1 kg. di alluminio sono necessari 14 kWh, mentre per ricavare 1 kg. di alluminio nuovo da quello riciclato servono solo 0,7 kWh di energia. Quindi solo a condizione che l’energia sia totalmente gratuita, il processo produttivo dell’Alcoa diventerebbe competitivo rispetto a quello della produzione di alluminio da riciclo; è ovvio che i costi economici e socio sanitari sarebbero sempre a carico degli abitanti del Sulcis e di tutta la Sardegna.  Il riciclo dell’alluminio costituisce un’importante attività economica, che dà lavoro a molti addetti: l’Italia è il primo produttore europeo di alluminio riciclato ed il terzo nel Mondo. Una nuova quota di tale produzione con conseguente occupazione dovrebbe essere assegnata alla Sardegna. Eviteremo così di difendere l’indifendibile anche sul piano economico e potremo promuovere la riconversione di un sistema produttivo a bassa efficienza o energivoro come la produzione di alluminio dalla bauxite. Per adesso molto fumo e troppe emissioni e neanche il maestrale riesce a rischiarare il cielo.

(Vincenzo Migaleddu)

domenica 7 febbraio 2010

L’ultima manifestazione?

Non ero il solo, tra gli osservatori di eventi sindacali, a pensare che quella del 2002 sarebbe stata l’ultima delle grandi manifestazioni a cui dal 1974 ci avevano abituato CgilCislUil. Per giustificarne la ripetitività della forma e degli obiettivi, e persino del percorso, mi era capitato di ricorrere ai parallelismi figurativi della processione religiosa, della parata degli eserciti, delle manifestazione per i caduti. Gli uomini vivono bisogni intensi di stare insieme e tenere sotto controllo il loro spazio, soprattutto quando i tempi si fanno difficili. Da più di quarant’anni, in Sardegna, le associazioni dei lavoratori dipendenti riuniscono i loro aderenti sui temi della difesa e dell’allargamento dei posti di lavoro. Partendo dal dato che altri settori di popolazione hanno gli stessi bisogni, assumono su di sé il compito della generale rappresentanza degli interessi. In Occidente il diritto al lavoro è universalmente riconosciuto dalle costituzioni e diventa un dovere per i governanti. In questo modo il metodo rivendicativo fa da pendant agli scopi, ai modi e ai risultati del governare. I dirigenti sindacali emergono così come le vestali dei bisogni fondamentali dei cittadini e, di più, amano rappresentarsi come i paladini dei valori sociali. Portatori di principi, non di responsabilità.

Principi e responsabilità sono arrivati a verifica in questo nuvoloso mattino cagliaritano negli umori delle migliaia di lavoratori ed ex-lavoratori che innalzavano le rosse bandiere della Cgil, il bianco dominante del tricolore della Cisl, l’azzurro intenso della Uil. Il moltiplicarsi delle bandiere è il fatto immediatamente rilevabile del lunghissimo corteo. Insieme all’età dei partecipanti: sono i padri che manifestano per i figli. I giovani operai dell’Alcoa, giustamente piazzati nelle prime file della posizione d’onore della manifestazione, erano scatenati nei loro rituali celebrativi della forza e della resistenza, con i caschi che percuotono ritmicamente l’asfalto, l’urlo “non cederemo mai!” lanciato contro le finestre dei palazzi del centro e il fumo sciamanico che a tratti nasconde il gruppo come a evocarne la forza.

La vertenza generale del sindacato ogni volta contiene una concreta emergenza della grande industria, volta a volta proveniente da Villacidro, nel passato, da Ottana (sempre), da Porto Torrese e Macchiareddu (spesso), e soprattutto dal Sulcis. I giovani sulcitani sono cresciuti a pane e manifestazioni sindacali come i ragazzi di Sedilo a pane e corse a cavallo in vista della sartiglia.

La vertenza Sardegna è incappata in un interlocutore lontano come irraggiungibile  - per la lotta dei lavoratori - può essere Pittsburg da Portovesme. L’universale convinzione che la metallurgia primaria deve essere lavorata il più possibile a bordo di miniera, la sensibilità europea verso l’ambiente, le logiche sovranazionali delle grandi company e le regole della concorrenza interne all’UE hanno creato un cocktail di motivazioni il cui circolo vizioso sta rendendo quasi impossibile la positiva conclusione di una vertenza sarda che, però, è anche veneta, e che sta per diventare pure spagnola nei tre siti iberici dell’Alcoa.

Se l’azienda insisterà nell’abbandono, la prevedibile soluzione sarà che lo stato italiano si doterà nuovamente di una qualche forma di partecipazione statale alla gestione delle imprese oppure che tutti qui in Sardegna, a iniziare dagli operai, ci si metta l’anima in pace prendendo atto che con questo tipo di industrie abbiamo chiuso e che occorre sul serio impegnarsi nella direzione di un sano sviluppo locale. E in questo caso gli operai verrebbero riqualificati in funzione del risanamento delle aree inquinate. In fondo è il messaggio delle due bare per le loro industrie portate rispettivamente dagli operai dell’Alcoa e della Vilnys di Porto Torres. Che forse stessimo celebrando il funerale grandioso della grande industria in Sardegna?

(Salvatore Cubeddu)